Dott.ssa Francesca Casalino

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Commento critico all’articolo “La trasformazione degli affetti” di G. Fossi (1991)

2024-09-28 16:09

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Elaborati e scritti,

Commento critico all’articolo “La trasformazione degli affetti” di G. Fossi (1991)

Affetti, psicoanalisi, paradigma relazionale, neuropsicoanalisi.

Giordano Fossi, psichiatra e psicoanalista scomparso nel settembre 2021, nel suo articolo “La trasformazione degli affetti” (1991) ha esposto una personale critica nei confronti della teoria psicoanalitica degli affetti, sviluppando diversi punti atti a ripercorrere le teorizzazioni in ambito psicoanalitico e proposte di integrazione con contenuti derivanti da altri approcci non analitici.


Partendo dal lavoro di Rapaport (1953), Fossi propone una sintesi della teorizzazione freudiana, la quale indentifica l’affetto, legato ad esperienze traumatiche e sperimentato nell’abreazione terapeutica, una manifestazione conscia dell’istinto, mentre gli affetti inconsci vengono considerati contenuti della mente non accessibili alla coscienza e potenzialità il cui sviluppo viene impedito. L’autore valuta la posizione kleiniana in linea con quanto precedentemente espresso, sottolineando la visione pulsionale della Klein degli inizi della vita e l’utilizzo dei sentimenti adulti per spiegare ciò che accade anche nella prima età infantile.


Cita quindi le ipotesi strutturali e con esse l’entrata in scena dei meccanismi di difesa, agiti dall’Io nei confronti delle pulsioni, a causa degli affetti negativi da esse provocati, evidenziando poi lo sviluppo della teoria del transfert quale elemento di avvio nel considerare l’esperienza analitica una ripetizione delle esperienze personali passate dell’analizzato, quindi luogo in cui poter correggere tali esperienze emotive nella relazione con l’analista.


Fossi considera le teorizzazioni psicoanalitiche inadeguate nello spiegare le modulazioni degli affetti in quanto eccessivamente focalizzate su concetti metapsicologici che prevedono una prospettiva unidirezionale di scarica.
Non esclude dalla sua critica neanche il lavoro di Schafer “The Clinical Analysis Of Affects” (1964), nel quale l’autore si è focalizzato sull’importanza degli affetti nella pratica psicoanalitica mediante l’analisi di alcuni aspetti determinanti, tra cui la comunicazione inconscia.


Fossi passa quindi alla trattazione delle indagini clinico-statistiche, citando il lavoro di Kantrowitz (Kantrowitz et al., 1986), in cui gli autori hanno studiato i benefici nella vita affettiva di ventidue pazienti al termine del loro percorso di analisi, riscontrando cambiamenti positivi in tutti gli aspetti oggetto di studio, in particolar modo nella modulazione e disponibilità degli affetti. Fossi, pur riconoscendone l’importanza, rileva criticità nell’indagine citata e in quelle ad essa simili, tra cui l’implicita omogeneità e validità della tecnica usata, non sufficientemente problematizzata dagli autori.


Nel sesto punto della sua trattazione, l’autore parte esplicitando le direttive che guidano la sua proposta teorica (1984; 1988; 1989). Rileva quale problema teorico di maggiore importanza la relazione tra cervello e mente, sottolineando di adottare una posizione organicista (che si oppone al dualismo mente-corpo per una visione unitaria e di interdipendenza); identifica gli affetti unicamente esistenti a livello conscio e preconscio, considerando quelli “inconsci” riconducibili a condizioni neurofisiologiche potenziali a cui manca l’attivazione necessaria affinché possano definirsi affetti. Adottando tale posizione, l’autore considera quale compito della psicoanalisi non quello di tradurre il contenuto inconscio in conscio, bensì migliorare la conoscenza di ciò di cui possiamo essere consapevoli. L’inconscio diventa “neurologico”: non sono inconsce fantasie o motivazioni ma ciò che, di passato o attuale, le ha determinate. Un’adeguata teoria empirica, per Fossi, necessita di un’integrazione con le conoscenze scientifiche sul cervello, secondo quanto anche Freud si proponeva di sviluppare, mentre la psicoanalisi nel corso del tempo ha adottato maggiormente una prospettiva dualista, dall’autore considerata “obsoleta”.


Secondo Fossi i meccanismi che la psicoanalisi ha proposto come responsabili dei cambiamenti della vita affettiva (scarica affetto-pulsione; cambiamento nelle attività delle strutture mentali; una componente conoscitiva derivante dalle interpretazioni dell’analista), risultano a molti insoddisfacenti; da qui la necessità di integrazione con le teorizzazioni fornite da altri approcci, tra cui quello cognitivista.


La teoria cognitivista, riporta l’autore, prevede che la risposta emotiva di un soggetto sia data dalla valutazione ed interpretazione che lo stesso fa della condizione presente (percezione – valutazione – emozione); l’emozione espressa non può quindi prescindere dal sistema di conoscenza soggettivo. Cita inoltre il pensiero di diversi autori, tra cui: Solomon (1980), per il quale lo scopo delle emozioni espresse è quello di promuovere un cambiamento, quindi scelte dall’individuo razionalmente; De Souza (1980), che considera le espressioni delle emozioni quali apprese dalle risposte istintive a determinate situazioni, assorbite e memorizzate in un repertorio di emozioni appropriate che potranno essere riutilizzate; Thoits (1985), cui postula l’esistenza di regole che governano intensità e durata di emozioni e sentimenti appropriati in determinate circostanze.


Secondo Fossi, il merito della psicologia cognitivista è quello di aver posto in risalto il ruolo adattivo delle emozioni e la loro funzione negli apprendimenti, sottolineando anche l’importanza della dimensione culturale, mentre la letteratura psicoanalitica sembra non aver fornito una comprensione completa della posizione degli affetti nel processo analitico.


In psicoanalisi la componente affettiva, considerata dall’autore (nel rapporto affettivo con l’analista) uno dei fattori specifici attivi nel cambiamento, risulta sia oggetto di modifica che parte del processo. Fossi critica però la tendenza a considerare l’affetto emerso in analisi unicamente quale riattivazione dei sentimenti provati in infanzia nei confronti delle figure di accudimento; adotta invece una prospettiva che riconosca l’affetto come processo influenzato “anche” dalle esperienze passate. I sentimenti provati in analisi, per Fossi, vengono inoltre condizionati dalla posizione teorica dell’analista, dal setting e dalle identificazioni con l’analista. Un approccio che si basi su un’asimmetria nella relazione tra paziente e analista, in cui l'analista detiene la conoscenza e la comunica al paziente attraverso interpretazioni dei contenuti inconsci, risulterà in una situazione di dipendenza e insicurezza per il paziente. L’autore sottolinea invece l’importanza dei procedimenti narrativi nel trasformare la vita affettiva del paziente, mediante l’utilizzo di polarità trasformative e rinforzi, proponendosi quindi di adottare una teoria del cambiamento della vita affettiva maggiormente ancorata alle necessità della clinica, nell’incontro con i pazienti, piuttosto che alla metapsicologia.


Commento


Partendo dal concordare con l’autore che un’adeguata teoria empirica necessiti di integrazione con le più recenti scoperte in ambito scientifico, penso possa giungere in soccorso, nell’affrontare le diverse critiche poste nei confronti dell’approccio psicoanalitico, il salto paradigmatico affrontato dalla psicoanalisi dopo l’avvento di altri paradigmi epistemologici, tra cui il costruzionismo sociale ed il costruttivismo (Castiglioni, 2007). Ciò ha comportato, tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, l’ipotesi di considerare la psicoanalisi non più unicamente una teoria intrapsichica e pulsionale, bensì interpsichica e relazionale, valutando la realtà non come ontologicamente data ma co-costruita. Il paradigma relazionale ha avuto ripercussioni anche sull’intervento psicoterapeutico e analitico, ponendo l’accento sul ruolo attivo dell’analista nella relazione con il paziente, il primo in grado di influenzare quindi ciò che osserva ed interpreta del secondo. In tale prospettiva, la relazionalità risulta intrinseca al modello pulsionale: non esiste pulsione senza un oggetto esterno a cui essere diretta, quindi al di fuori della relazione (Eagle, 2012). La nascita delle Neuroscienze e, negli anni 2000, della Neuropsicoanalisi, ha apportato ulteriori contributi alla comprensione di ciò che avviene nell’interazione analista-paziente, superando il dualismo mente-corpo in favore di una posizione che li consideri strettamente in relazione tra loro e con l’ambiente circostante. La Neuropsicoanalisi, occupandosi di individuare le aree cerebrali che intervengono nella trasformazione dei fenomeni presenti nel contesto analitico, tra cui gli affetti, ha permesso di identificare l’inconscio quale luogo adibito all’elaborazione e regolazione delle emozioni, le quali necessitano di una processualità elaborativa rapida, collocata a livello corticale e subcorticale del cervello destro (Cena & Imbasciati, 2013; Ginot, 2017). L’emisfero destro, dominante nell’elaborazione delle informazioni socio-emozionali, risulta quindi centrale nel processo analitico, e nel cambiamento da esso promosso, poiché permette la comunicazione inconscia tra paziente e analista, mediante l’attivazione del “cervello destro” dell’uno e dell’altro (Siegel, 2013), ciò che Schore (2008) chiama “connessione psicobiologica”.


Gli spunti forniti sembrano permettere il superamento di alcune delle critiche mosse da Fossi nei confronti della teoria psicoanalitica degli affetti, sia favorendo una comprensione multidimensionale di ciò che avviene all’interno del setting e nel rapporto analitico, sia fornendo una spiegazione delle modalità con cui il cambiamento avviene.




Bibliografia


Castiglioni, M. (2007). Epistemologia e psicologia. EDUCatt-Ente per il diritto allo studio universitario dell'Università Cattolica.


Cena, L., & Imbasciati, A. (Eds.). (2014). Neuroscienze e teoria psicoanalitica: Verso una teoria integrata del funzionamento mentale. Springer Science & Business Media.


De Souza R. ( 1980). The Rationality of Emotions. In O. Rorty (ed.), Explaining Emotions, Univ. of California Press, Berkeley.


Eagle, M. N., & Migone, P. (2012). Da Freud alla psicoanalisi contemporanea: critica e integrazione. Raffaello Cortina Editore.


Fossi G. (1984). Le teorie psicoanalitiche. Padova, Piccin.


Fossi G. (1988). Psicoanalisi e psicoterapie dinamiche. Torino, Boringhieri.


Fossi G. ( 989). New Prospects in the Relationship between Psychoanalytical Theory and Technique. Int. Rev. Psycho-Anal.16, 397-411.


Fossi, G. (1991). La trasformazione degli affetti. Rivista di Psicoanalisi, 37(2), 373-399.


Ginot, E. (2017). Neuropsicologia dell'inconscio: integrare mente e cervello nella psicoterapia. Raffaello Cortina Editore.


Kantrowitz J.L., Paolito F., Sashin J., Solomon L., Katz A.L. (1986). Affect Availability, Tolerance, Complexity and Modulation in Psychoanalysis: Follow- up of a Longitudinal Prospective Study. J.A.P.A.34, 539-559.


Rapaport D. (1953). On the Psychoanalytic Theory of Affects. Int. J. Psycho-Anal. 34, 177-198.


Schafer R. (1964). The Clinical Analysis of Affects. J.A.P.A.12, 275-299.


Schore, A. N. (2008). La regolazione degli affetti e la riparazione del sé. Astrolabio.


Siegel, D. J. (2013). La mente relazionale. Seconda edizione. Raffaello Cortina.


Solomon R.C. ( 1980). Emotions and Chance. In O. Rorty (ed.), Explaining Emotions, University of California Press, Berkeley.


Thoits P.A. ( 1985). Self-labeling Processes in Mental Illness. The Role of Emotional Deviance. Amer. J. Social.91, 221-249.